Il settore tessile è uno dei più impattanti dal punto di vista ambientale, soprattutto a causa della crescente diffusione della fast fashion, che accelera il consumo di capi a basso prezzo e di breve durata. L’Italia rimane uno dei principali produttori mondiali di tessuti, con oltre 13.000 aziende e un fatturato annuo di 1,6 miliardi di euro, concentrato prevalentemente nel segmento medio-alto. Allo stesso tempo, l’Italia è un grande consumatore di prodotti tessili, una buona parte prodotti all’estero (soprattutto quelli dilargo consumo), e nonostante l’introduzione del Decreto Legislativo 116/2020 che impone l’obbligo di raccolta differenziata, ancora oggi l’81% dei rifiuti tessili continua a finire in discarica o inceneritore. A fronte di questo, il governo italiano sta preparando l’introduzione di un sistema di Responsabilità Estesa del Produttore (EPR), che potrebbe trasformare la gestione dei rifiuti tessili, promuovendo il riuso, il riciclo e incentivando investimenti nella costruzione di impianti appositi, finora insufficienti.
Nel 2020, l’Unione Europea ha generato circa 6,95 milioni di tonnellate di rifiuti tessili, pari a 16 kg pro capite, ma solo una parte di essi (4,4 kg per persona) è stata separata per il riuso o il riciclo. La maggior parte dei rifiuti è stata incenerita o smaltita in discarica, con un impatto negativo sull’ambiente. Circa l’82% dei rifiuti proveniva dai consumatori, mentre il resto era costituito da rifiuti di produzione e capi mai venduti, un fattore che evidenzia inefficienze nella filiera.
Secondo la Commissione Europea, solo 1,41 milioni di tonnellate sono state trattate localmente, mentre una parte significativa è stata esportata, spesso con esiti problematici per l’ambiente e la società. Il riciclaggio delle fibre tessili è ancora limitato, e il materiale riciclato finisce prevalentemente in prodotti di bassa qualità (downcycling) destinati alla discarica dopo un breve ciclo di vita. La maggior parte dei capi non è progettata per durare e la combinazione di fibre naturali e sintetiche rende difficile ed economico il riciclo. Il fast fashion, in particolare, crea enormi volumi di prodotti che non possono essere facilmente trattati con i sistemi di riciclo attuali. Inoltre, l’esportazione dei rifiuti tessili verso paesi in via di sviluppo ha aggravato il problema, con materiali dispersi in ambiente, oppure destinati a discariche non regolamentate o a pratiche informali di downcycling, non valorizzando adeguatamente le risorse.
Il settore tessile ha un impatto ambientale rilevante, rappresentando il quarto maggiore settore per danni ambientali in Europa. In risposta, la Commissione Europea ha presentato la “Strategia UE sul tessile” nel marzo 2022, come parte del Green Deal europeo: essa mira a rendere il settore più sostenibile, attraverso misure che riguardano la progettazione dei prodotti, con l’introduzione di fibre riciclate e un sistema di informazioni più chiaro. Saranno introdotti requisiti più rigidi per combattere il greenwashing e un passaporto digitale per la tracciabilità dei prodotti; inoltre, sono previsti interventi per ridurre il rilascio di microplastiche dai tessuti. Un altro elemento della strategia è l’EPR, accompagnata da incentivi economici e misure di sostegno all’innovazione. Sempre secondo la Commissione, l’applicazione di principi circolari potrebbe aumentare il PIL europeo dello 0,5% entro il 2030, creando 700.000 nuovi posti di lavoro.
Con oltre 1,5 milioni di persone occupate in 160.000 imprese e un fatturato che ha raggiunto i 162 miliardi di euro nel 2019, la transizione ecologica del settore tessile europeo richiede una gestione attenta per evitare impatti economici e sociali negativi. La sfida è orientare le aziende verso modelli più responsabili, rispondendo alle crescenti richieste di sostenibilità e qualità.
di Donato Berardi e Antonio Pergolizzi
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